Proveremo a rispondere ad alcune domande:
Quali organismi è possibile trovare in una grotta?
Che cos'è e come nasce la biospeleologia?
Chi si occupa di biospeleologia in Italia?
Cosa posso leggere per approfondire l’argomento?
#habitat_ipogeo; #spazio_interstiziale; #ambiente_endogeo; #fauna_troglobia
Quali organismi è possibile trovare in una grotta?
Che cos'è e come nasce la biospeleologia?
Chi si occupa di biospeleologia in Italia?
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Il territorio italiano è costituito per il 27% da rocce carsificabili: l'evoluzione ha trasformato ogni massiccio carsico in un mondo unico ed irripetibile, dove possiamo trovare numerose specie endemiche, che non esistono cioè in nessun altro posto sulla Terra.
Grotte e fenomeno carsico. Quaderni Habitat 1, Museo Friulano di Storia Naturale; Latella L. & Stoch F. 2001.
Dove abitano le creature del sottosuolo?
Quando ci riferiamo agli organismi viventi che hanno fatto di un certo ambiente la propria dimora, siamo soliti definire l’ambiente sotterraneo “habitat ipogeo” e quello di superficie “habitat epigeo”, distinguendoli in maniera netta ed inequivocabile. Dal momento che l’habitat ipogeo ha delle caratteristiche estreme (riduzione fino all'assenza di luce, umidità vicina al punto di saturazione, temperature basse e corrispondenti alle media annuale esterna..), gli organismi che vi abitano si sono altamente specializzati, nel corso di millenni di evoluzione, per sopravvivere a queste condizioni.
La distinzione tra questi habitat, tuttavia, spesso non è così definita, almeno da un punto di vista ecologico: l’ambiente sotterraneo comprende sì anche le grotte, ma non è a queste confinato. Una sfida a tale rigida distinzione di habitat è rappresentata da tutte quelle aree che possiamo definire “di transizione”, come lo spazio interstiziale: quel vastissimo reticolo di fessure esistente in qualsiasi corpo roccioso, popolato da una moltitudine di organismi che vi hanno trovato le condizioni di vita ottimali. Alcune specie, erroneamente considerate come parte della fauna “cavernicola”, rinvenibile, cioè, solo nelle grotte naturali, vive in realtà in questo ambiente limitrofo, da cui solo saltuariamente può raggiungere la grotta.
Altro esempio di particolare rilevanza è l’ambiente endogeo, quella porzione del suolo compresa fra il detrito vegetale (es. le foglie morte) e la parte più profonda delle radici delle piante: le caratteristiche di questo habitat spesso richiamano l'ambiente cavernicolo, rendendolo ideale per molte specie interessanti dal punto di vista biospeleologico.
È quindi importante tenere conto del fatto che le divisioni “di comodo”, come quella che distingue la fauna rinvenibile nell'ambiente endogeo e quella più propriamente “cavernicola”, servono ad evidenziare condizioni di vita diverse e che si succedono in ambienti ecologicamente diversi, ma che quasi mai risultano nettamente isolati l’uno dall’altro: formano anzi un continuum inscindibile. Per questi organismi le grotte, così come le intendiamo noi, non esistono, sono soltanto una concezione antropocentrica: d’altra parte, per un artropode, una cavità di 5 o 50 cm non fa mica molta differenza!
A queste considerazioni si aggiunga anche l'ambiente freatico, cioè la zona interessata dalla falda acquifera, soggetta a variazioni stagionali o perturbazioni meteorologiche (questo ambiente riguarda principalmente la fauna acquatica): le piogge svolgono un ruolo significativo nel collegamento idrico tra i vari sistemi epigei e ipogei, anche in questo caso favorendone i contatti.
Ma.. Di quali organismi parliamo?
Si è soliti pensare che l'ambiente sotterraneo sia abitato solo da animali, dal momento che in questo habitat manca la luce solare, necessaria ad innescare la fotosintesi delle piante e delle alghe verdi. Questo, però, non corrisponde alla realtà, in quanto nelle zone più esterne delle grotte e negli ambienti sotterranei di superficie la luce solare è ancora percepibile e, pertanto, permette l’esistenza di alcuni vegetali come muschi, felci e alghe con clorofilla (che formano strati gelatinosi di colore verdazzurro sulle pareti). In tutti gli ambienti sotterranei sono inoltre presenti i batteri, alcuni dei quali, come i nitrobatteri e i solfobatteri, sono in grado di sintetizzare composti organici, anche in assenza di luce, sfruttando le reazioni chimiche di ossidoriduzione. Anche i funghi, organismi saprofiti che metabolizzano sostanze organiche, sono frequenti negli ambienti sotterranei, costituendo fonte di energia per molti altri organismi. Fra questi ultimi ce ne sono alcuni che formano cuscinetti bianchi su sostanze organiche in putrefazione (muffa bianca del pane), ed altri che parassitano insetti troglofili.
In ogni caso, la quasi totale assenza di organismi fotosintetici riduce di molto la materia organica disponibile, per cui molti degli ambienti sotterranei terrestri e acquatici sono ecosistemi caratterizzati da scarse fonti energetiche. Di solito, la maggior parte della sostanza organica è di origine esterna, portata in ambiente ipogeo dal vento, dall’acqua di percolazione e dai molti organismi animali che penetrano in questi ambienti anche solo per brevi periodi. Il guano dei pipistrelli è un famoso esempio di apporto energetico, di origine animale, che in alcune grotte caratterizza l’intera comunità degli organismi presenti.
Gli ambienti sotterranei sono pertanto, di solito, “oligotrofici”, cioè poveri di apporti energetici, ed ospitano comunità di organismi con bassa numerosità di specie e bassa densità di individui.
Gli organismi che abitano gli ambienti sotterranei hanno origine da antenati che si sono gradualmente adattati a condizioni ambientali caratterizzate da elevata umidità e temperature relativamente basse, come il suolo delle foreste in aree con abbondanti precipitazioni, in ere geologiche diverse dall'attuale. Le variazioni climatiche avvenute nel corso dei millenni, specialmente periodi di calore intenso o aridità, hanno spinto questi animali a colonizzare sempre più il sottosuolo, che offre condizioni stabili e favorevoli.
Le fluttuazioni climatiche hanno anche provocato periodi di isolamento più o meno prolungato in diverse regioni, come su differenti massicci montuosi, seguiti da migrazioni per la ricerca di ambienti più adatti. Questo ciclo di isolamento e migrazione ha portato alla frammentazione delle popolazioni in numerose specie distinte, con distribuzione limitata, e al contempo ha favorito il mescolamento genetico e l'occupazione di nuove aree, creando ulteriori isolamenti e così via.
L'analisi della distribuzione geografica attuale delle specie o dei gruppi di fauna, insieme alle relazioni filogenetiche basate sui loro tratti distintivi, è fondamentale per comprendere la storia della loro evoluzione. Questo costituisce uno degli aspetti più affascinanti e stimolanti dello studio di questi organismi.
In quanto specie scarsamente diversificate, specializzate e vulnerabili alle perturbazioni esterne, sono estremamente interessanti da studiare, anche se spesso difficili da campionare. Per questa ragione, a volte i biospeleologi si avvalgono delle capacità esplorative degli spelologi.
La struttura schematizzata della piramide ecologica tipica di un ambiente sotterraneo è illustrata nella figura 1.
Quando ci riferiamo agli organismi viventi che hanno fatto di un certo ambiente la propria dimora, siamo soliti definire l’ambiente sotterraneo “habitat ipogeo” e quello di superficie “habitat epigeo”, distinguendoli in maniera netta ed inequivocabile. Dal momento che l’habitat ipogeo ha delle caratteristiche estreme (riduzione fino all'assenza di luce, umidità vicina al punto di saturazione, temperature basse e corrispondenti alle media annuale esterna..), gli organismi che vi abitano si sono altamente specializzati, nel corso di millenni di evoluzione, per sopravvivere a queste condizioni.
La distinzione tra questi habitat, tuttavia, spesso non è così definita, almeno da un punto di vista ecologico: l’ambiente sotterraneo comprende sì anche le grotte, ma non è a queste confinato. Una sfida a tale rigida distinzione di habitat è rappresentata da tutte quelle aree che possiamo definire “di transizione”, come lo spazio interstiziale: quel vastissimo reticolo di fessure esistente in qualsiasi corpo roccioso, popolato da una moltitudine di organismi che vi hanno trovato le condizioni di vita ottimali. Alcune specie, erroneamente considerate come parte della fauna “cavernicola”, rinvenibile, cioè, solo nelle grotte naturali, vive in realtà in questo ambiente limitrofo, da cui solo saltuariamente può raggiungere la grotta.
Altro esempio di particolare rilevanza è l’ambiente endogeo, quella porzione del suolo compresa fra il detrito vegetale (es. le foglie morte) e la parte più profonda delle radici delle piante: le caratteristiche di questo habitat spesso richiamano l'ambiente cavernicolo, rendendolo ideale per molte specie interessanti dal punto di vista biospeleologico.
È quindi importante tenere conto del fatto che le divisioni “di comodo”, come quella che distingue la fauna rinvenibile nell'ambiente endogeo e quella più propriamente “cavernicola”, servono ad evidenziare condizioni di vita diverse e che si succedono in ambienti ecologicamente diversi, ma che quasi mai risultano nettamente isolati l’uno dall’altro: formano anzi un continuum inscindibile. Per questi organismi le grotte, così come le intendiamo noi, non esistono, sono soltanto una concezione antropocentrica: d’altra parte, per un artropode, una cavità di 5 o 50 cm non fa mica molta differenza!
A queste considerazioni si aggiunga anche l'ambiente freatico, cioè la zona interessata dalla falda acquifera, soggetta a variazioni stagionali o perturbazioni meteorologiche (questo ambiente riguarda principalmente la fauna acquatica): le piogge svolgono un ruolo significativo nel collegamento idrico tra i vari sistemi epigei e ipogei, anche in questo caso favorendone i contatti.
Ma.. Di quali organismi parliamo?
Si è soliti pensare che l'ambiente sotterraneo sia abitato solo da animali, dal momento che in questo habitat manca la luce solare, necessaria ad innescare la fotosintesi delle piante e delle alghe verdi. Questo, però, non corrisponde alla realtà, in quanto nelle zone più esterne delle grotte e negli ambienti sotterranei di superficie la luce solare è ancora percepibile e, pertanto, permette l’esistenza di alcuni vegetali come muschi, felci e alghe con clorofilla (che formano strati gelatinosi di colore verdazzurro sulle pareti). In tutti gli ambienti sotterranei sono inoltre presenti i batteri, alcuni dei quali, come i nitrobatteri e i solfobatteri, sono in grado di sintetizzare composti organici, anche in assenza di luce, sfruttando le reazioni chimiche di ossidoriduzione. Anche i funghi, organismi saprofiti che metabolizzano sostanze organiche, sono frequenti negli ambienti sotterranei, costituendo fonte di energia per molti altri organismi. Fra questi ultimi ce ne sono alcuni che formano cuscinetti bianchi su sostanze organiche in putrefazione (muffa bianca del pane), ed altri che parassitano insetti troglofili.
In ogni caso, la quasi totale assenza di organismi fotosintetici riduce di molto la materia organica disponibile, per cui molti degli ambienti sotterranei terrestri e acquatici sono ecosistemi caratterizzati da scarse fonti energetiche. Di solito, la maggior parte della sostanza organica è di origine esterna, portata in ambiente ipogeo dal vento, dall’acqua di percolazione e dai molti organismi animali che penetrano in questi ambienti anche solo per brevi periodi. Il guano dei pipistrelli è un famoso esempio di apporto energetico, di origine animale, che in alcune grotte caratterizza l’intera comunità degli organismi presenti.
Gli ambienti sotterranei sono pertanto, di solito, “oligotrofici”, cioè poveri di apporti energetici, ed ospitano comunità di organismi con bassa numerosità di specie e bassa densità di individui.
Gli organismi che abitano gli ambienti sotterranei hanno origine da antenati che si sono gradualmente adattati a condizioni ambientali caratterizzate da elevata umidità e temperature relativamente basse, come il suolo delle foreste in aree con abbondanti precipitazioni, in ere geologiche diverse dall'attuale. Le variazioni climatiche avvenute nel corso dei millenni, specialmente periodi di calore intenso o aridità, hanno spinto questi animali a colonizzare sempre più il sottosuolo, che offre condizioni stabili e favorevoli.
Le fluttuazioni climatiche hanno anche provocato periodi di isolamento più o meno prolungato in diverse regioni, come su differenti massicci montuosi, seguiti da migrazioni per la ricerca di ambienti più adatti. Questo ciclo di isolamento e migrazione ha portato alla frammentazione delle popolazioni in numerose specie distinte, con distribuzione limitata, e al contempo ha favorito il mescolamento genetico e l'occupazione di nuove aree, creando ulteriori isolamenti e così via.
L'analisi della distribuzione geografica attuale delle specie o dei gruppi di fauna, insieme alle relazioni filogenetiche basate sui loro tratti distintivi, è fondamentale per comprendere la storia della loro evoluzione. Questo costituisce uno degli aspetti più affascinanti e stimolanti dello studio di questi organismi.
In quanto specie scarsamente diversificate, specializzate e vulnerabili alle perturbazioni esterne, sono estremamente interessanti da studiare, anche se spesso difficili da campionare. Per questa ragione, a volte i biospeleologi si avvalgono delle capacità esplorative degli spelologi.
La struttura schematizzata della piramide ecologica tipica di un ambiente sotterraneo è illustrata nella figura 1.
La fauna ipogea
“Un tempo avevamo delle incrollabili certezze: gli organismi “cavernicoli” stavano nelle caverne ed era là che li cercavamo”, così scrivevano Giachino e Vailati nel 2010. In passato sono state create numerose classificazioni nel tentativo di dare una spiegazione al perchè che in alcune parti della grotta vi erano animali di un certo tipo mentre in altre c’erano quelli più specializzati, detti veri “cavernicoli”. Tuttavia, qualche studioso aveva iniziato a cercare i “cavernicoli” anche fuori dalle grotte e.. li aveva trovati! Gli stessi animali venivano rinvenuti anche nelle cavità artificiali, scavate dall’uomo in tempi molto recenti, e addirittura in rocce cristalline, non carbonatiche, dove le grotte non sono mai esistite.
Nel tentativo di far quadrare ciò che non quadrava, si è adottata la soluzione di categorizzare come “cavernicoli” solo gli organismi raccolti in grotta: tutto ciò ha generato una certa confusione e una falsa interpretazione della realtà. Infatti, specie appartenenti allo stesso genere, morfologicamente vicinissime, c con lo stesso grado di specializzazione (quindi stessa biologia) finivano con l'essere distinte in "cavernicole" o "endogee" solo in base al luogo di rinvenimento!
La più comune classificazione della fauna troglobia, essenzialmente composta da invertebrati di piccole dimensioni (insetti, aracnidi, crostacei, chilopodi, diplopodi, molluschi, ecc.) e pochi esemplari di vertebrati (anfibi) è quella originariamente esposta dallo Schiner nel 1854 e infine riveduta e semplificata da Ruffo nel 1955. I “cavernicoli” venivano suddivisi in quattro categorie principali:
Gli organismi esclusivi delle acque sotterranee prendono invece il nome di Stigobi: sono suddivisi in stigofili (hanno una preferenza per ambienti sotterranei ma possono vivere anche all'esterno) ed eustigofili (vivono e si riproducono principalmente all'esterno). In analogia, esiste anche il termine stigosseni.
Per le ragioni spiegate, questo tipo di classificazione è ad oggi ritenuta troppo semplicistica, considerando che in natura i confini effettivi tra le categorie non sono mai così marcati, ma sono anzi spesso vaghi e difficili da stabilire. Secondo Giachino e Vailati il termine “troglobio”, che è ancora evocatore del legame con le grotte, dovrebbe essere abbandonato in toto e sostituito con quello più corretto di “sotterraneo” o, meglio, di “ipogeo”.
Sebbene gli animali più noti che si possono rinvenire in grotta siano certamente i Chirotteri (i pipistrelli), da sempre considerati il simbolo degli “abitatori delle tenebre”, il sottosuolo brulica di vita!
In preparazione una scheda dedicata ai Chirotteri!
Vi troviamo alcuni anfibi, tra cui il Proteo (Proteus anguinus), endemico delle acque sotterranee che scorrono nell'altopiano carsico, e il Geotritone (Speleomantes), che comprende ben 8 specie, tutte endemiche dell’Italia (eccetto una presente anche in Francia): il geotritone è strettamente legato alle grotte, ma è rinvenibile anche in sottoboschi di latifoglie umidi e in prossimità di torrenti dove è attivo soprattutto durante i periodi favorevoli (notte, pioggia).
In preparazione una scheda dedicata ai Geotritoni!
In maggioranza, però, si tratta di invertebrati: Planarie, Anellidi, Molluschi, ma soprattutto Artropodi, essenzialmente rappresentati da Insetti, Crostacei, Diplopodi, Aracnidi.. Migliaia di specie, sparse in tutto il mondo, sono state descritte: nelle grotte italiane si incontrano frequentemente artropodi come i diplopodi, (i così detti “centopiedi”) i chilopodi, (i così detti “millepiedi”), gli aracnidi (ossia scorpioni, ragni e acari).
Niphargus è un genere di gamberetti anfipodi rappresentato nelle grotte italiane da un certo numero di specie, spesso endemiche di singole grotte o di singoli complessi!
“Un tempo avevamo delle incrollabili certezze: gli organismi “cavernicoli” stavano nelle caverne ed era là che li cercavamo”, così scrivevano Giachino e Vailati nel 2010. In passato sono state create numerose classificazioni nel tentativo di dare una spiegazione al perchè che in alcune parti della grotta vi erano animali di un certo tipo mentre in altre c’erano quelli più specializzati, detti veri “cavernicoli”. Tuttavia, qualche studioso aveva iniziato a cercare i “cavernicoli” anche fuori dalle grotte e.. li aveva trovati! Gli stessi animali venivano rinvenuti anche nelle cavità artificiali, scavate dall’uomo in tempi molto recenti, e addirittura in rocce cristalline, non carbonatiche, dove le grotte non sono mai esistite.
Nel tentativo di far quadrare ciò che non quadrava, si è adottata la soluzione di categorizzare come “cavernicoli” solo gli organismi raccolti in grotta: tutto ciò ha generato una certa confusione e una falsa interpretazione della realtà. Infatti, specie appartenenti allo stesso genere, morfologicamente vicinissime, c con lo stesso grado di specializzazione (quindi stessa biologia) finivano con l'essere distinte in "cavernicole" o "endogee" solo in base al luogo di rinvenimento!
La più comune classificazione della fauna troglobia, essenzialmente composta da invertebrati di piccole dimensioni (insetti, aracnidi, crostacei, chilopodi, diplopodi, molluschi, ecc.) e pochi esemplari di vertebrati (anfibi) è quella originariamente esposta dallo Schiner nel 1854 e infine riveduta e semplificata da Ruffo nel 1955. I “cavernicoli” venivano suddivisi in quattro categorie principali:
- Troglosseni: sono quelle specie che si trovano in ambiente ipogeo solo accidentalmente, come quelli che cadono all’interno dei pozzi verticali o vi sono trasportati dalle acque. Non si riproducono in grotta e sono destinati a soccombere perché non trovano le risorse adatte per vivere.
- Troglofili: questa categoria comprende due distinti gruppi di animali, i subtroglofili, che si trovano in grotta o in ambienti artificiali solo in alcuni periodi della loro vita e non presentano adattamenti specifici all’ambiente sotterraneo (es. i pipistrelli, che in grotta svernano), e gli eutroglofili, quegli animali che, pur manifestando una spiccata preferenza per l’ambiente ipogeo e possedendo particolari adattamenti morfologici e fisiologici, possono vivere e in alcuni casi riprodursi anche nell’ambiente epigeo (es. i geotritoni).
- Troglobi: organismi considerati “cavernicoli obbligati” cioè perfettamente adattati alla vita ipogea e non più capaci di svincolarsene. I troglobi svolgono l’intero ciclo vitale all’interno delle grotte o più precisamente del reticolo sotterraneo e presentano in maniera evidente vistose modificazioni morfologiche e fisiologiche rispetto alle specie epigee (es. lo pseudoscorpione).
Gli organismi esclusivi delle acque sotterranee prendono invece il nome di Stigobi: sono suddivisi in stigofili (hanno una preferenza per ambienti sotterranei ma possono vivere anche all'esterno) ed eustigofili (vivono e si riproducono principalmente all'esterno). In analogia, esiste anche il termine stigosseni.
Per le ragioni spiegate, questo tipo di classificazione è ad oggi ritenuta troppo semplicistica, considerando che in natura i confini effettivi tra le categorie non sono mai così marcati, ma sono anzi spesso vaghi e difficili da stabilire. Secondo Giachino e Vailati il termine “troglobio”, che è ancora evocatore del legame con le grotte, dovrebbe essere abbandonato in toto e sostituito con quello più corretto di “sotterraneo” o, meglio, di “ipogeo”.
Sebbene gli animali più noti che si possono rinvenire in grotta siano certamente i Chirotteri (i pipistrelli), da sempre considerati il simbolo degli “abitatori delle tenebre”, il sottosuolo brulica di vita!
In preparazione una scheda dedicata ai Chirotteri!
Vi troviamo alcuni anfibi, tra cui il Proteo (Proteus anguinus), endemico delle acque sotterranee che scorrono nell'altopiano carsico, e il Geotritone (Speleomantes), che comprende ben 8 specie, tutte endemiche dell’Italia (eccetto una presente anche in Francia): il geotritone è strettamente legato alle grotte, ma è rinvenibile anche in sottoboschi di latifoglie umidi e in prossimità di torrenti dove è attivo soprattutto durante i periodi favorevoli (notte, pioggia).
In preparazione una scheda dedicata ai Geotritoni!
In maggioranza, però, si tratta di invertebrati: Planarie, Anellidi, Molluschi, ma soprattutto Artropodi, essenzialmente rappresentati da Insetti, Crostacei, Diplopodi, Aracnidi.. Migliaia di specie, sparse in tutto il mondo, sono state descritte: nelle grotte italiane si incontrano frequentemente artropodi come i diplopodi, (i così detti “centopiedi”) i chilopodi, (i così detti “millepiedi”), gli aracnidi (ossia scorpioni, ragni e acari).
Niphargus è un genere di gamberetti anfipodi rappresentato nelle grotte italiane da un certo numero di specie, spesso endemiche di singole grotte o di singoli complessi!
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Alcune foto tratte, per sua gentile concessione, dal bellissimo lavoro di tesi di Denise Trombin (Gruppo Speleologico Lunense), dal titolo “Caratterizzazione faunistica di alcune miniere Biellesi della Valle Cervo: Oneglie, Passobreve e Alpe Machetto”
Fotografie di Enrico Lana
Fotografie di Enrico Lana
Breve storia della biospeleologia
I primi cenni di interesse per la fauna ipogea risalgono alla seconda metà del '500, quando il vicentino Gian Giacomo Trissino scrisse una lettera in cui descriveva alcuni "gamberetti picciolini" sui Monti Berici: erano proprio i Niphargus costozzae! Si trattava però di pura curiosità, priva di qualunque velleità scientifica.
La prima menzione documentata di un organismo cavernicolo risale al 1689 in Slovenia, nella regione della Carnaiola: si tratta del Proteo, il piccolo anfibio anguilliforme, cieco e depigmentato. Si legge di lui nel libro La gloria del Ducato di Carniola di Janez Vajkard Valvasor, in cui non viene riconosciuto come un abitatore della grotta, bensì descritto come un piccolo di drago: le forti piogge avrebbero infatti trascinato alcuni esemplari di proteo fuori dal loro habitat sotterraneo, dando luogo alla credenza popolare secondo cui i draghi vivessero al di sotto della crosta terrestre e i protei fossero i piccoli di queste creature leggendarie. Nel suo libro Valvasor raccoglie molte storie popolari slovene e mette insieme la ricca mitologia di queste creature con l'osservazione documentata dei protei.
I primi cenni di interesse per la fauna ipogea risalgono alla seconda metà del '500, quando il vicentino Gian Giacomo Trissino scrisse una lettera in cui descriveva alcuni "gamberetti picciolini" sui Monti Berici: erano proprio i Niphargus costozzae! Si trattava però di pura curiosità, priva di qualunque velleità scientifica.
La prima menzione documentata di un organismo cavernicolo risale al 1689 in Slovenia, nella regione della Carnaiola: si tratta del Proteo, il piccolo anfibio anguilliforme, cieco e depigmentato. Si legge di lui nel libro La gloria del Ducato di Carniola di Janez Vajkard Valvasor, in cui non viene riconosciuto come un abitatore della grotta, bensì descritto come un piccolo di drago: le forti piogge avrebbero infatti trascinato alcuni esemplari di proteo fuori dal loro habitat sotterraneo, dando luogo alla credenza popolare secondo cui i draghi vivessero al di sotto della crosta terrestre e i protei fossero i piccoli di queste creature leggendarie. Nel suo libro Valvasor raccoglie molte storie popolari slovene e mette insieme la ricca mitologia di queste creature con l'osservazione documentata dei protei.
Il primo studio formale sugli organismi dell’ambiente ipogeo è stato condotto oltre cent'anni dopo sul coleottero cieco delle caverne, trovato nel 1831 da Luka Čec, durante l’esplorazione del sistema delle grotte di Postumia, nella Slovenia sudoccidentale. L’esemplare fu consegnato a Ferdinand J. Schmidt, uno dei più grandi speleologi del secolo, che lo descrisse nell’articolo "Illyrisches Blatt" (1832). Lo chiamò Leptodirus Hochenwartii, in onore del donatore, e gli diede anche il nome sloveno drobnovratnik e il nome tedesco Enghalskäfer, che significano entrambi “coleottero dal collo sottile”. Successive ricerche di Schmidt hanno rivelato ulteriori abitanti delle caverne precedentemente sconosciuti, che hanno suscitato un notevole interesse tra i naturalisti. Per questo motivo la scoperta di L. hochenwartii è considerata il punto di partenza della biospeleologia come disciplina scientifica. E' infatti a partire da quella data che presero il via una lunga serie di ricerche zoologiche mirate alla conoscenza della fauna ipogea.
La biospeleologia ha radici profonde nel lavoro pionieristico di scienziati del calibro di Émile Racovita, biologo ed esploratore romeno, il quale, alla fine del XIX secolo, introdusse il termine "biospeologia" nel suo "Essai sur les problemes biospeologiques" (1907), il saggio considerato documento fondante della biospeleologia. Assieme al francese René Jeannel svilupparono un programma di ricerca durato decenni e chiamato "Biospeologica", pubblicando sugli Archives de Zoologie Expérimentale et Général. Racovita era anti-darwiniano nella sua visione evolutiva, la sua prospettiva era infatti più in linea con le idee di Jean-Baptiste Lamarck, secondo cui gli organismi acquisiscono caratteristiche ereditabili attraverso l'uso o il disuso degli organi nel corso della loro vita. Questo pensiero suonava certamente credibile pensando agli abitanti delle grotte: per lo più animali altamente specializzati che hanno evoluto una serie di adattamenti, sia morfologici sia fisiologici, alla vita nell'ambiente sotterraneo. Esempi di adattamenti morfologici sono la depigmentazione (perdita della pigmentazione esterna, la maggior parte della fauna ipogea presenta una colorazione marrone chiaro) e l'anoftalmia (totale scomparsa degli occhi), compensate dalla specializzazione di altri organi sensoriali, come lunghe antenne e appendici locomotorie, ricche di chemiorecettori, tattocettori e igrorecettori, che permettono di meglio muoversi senza far riferimento alla vista e rispondere agli stimoli ambientali. Gli adattamenti fisiologici comprendono il rallentamento del metabolismo e la riduzione del consumo di energia, a causa delle limitate risorse nutritive, che viene svolto riducendo i movimenti, eliminando le interazioni aggressive, migliorando la capacità di foraggiamento e l'efficienza nell'uso del cibo, e attraverso l'ectotermia. Di conseguenza, questi animali possono resistere per lunghi periodi senza mangiare, vivono più a lungo, si riproducono molto tardi e fanno poche grandi uova. Le idee di Racovita e dei suoi contemporanei hanno contribuito a plasmare la disciplina, sebbene la visione evolutiva dell'autore sia stata successivamente considerata superata ed incoerente con le attuali conoscenze della biologia evolutiva basate sulla genetica e sulla selezione naturale darwiniana.
Il termine "biospeleologia" è stato inizialmente adottato per descrivere lo studio della sola fauna delle grotte, tuttavia, nel corso del tempo, la disciplina ha ampliato il proprio campo d'azione per includere la biologia degli ambienti sotterranei in generale, abbracciando habitat come il milieu souterrain superficiel e la zona iporreica (in continuità con quanto affermato all'inizio della pagina!).
Altri studiosi hanno poi contribuito significativamente alla crescita della biospeleologia: i lavori di Ivo Lucic, Boris Sket e Aldemaro Romero hanno segnato importanti passi avanti nella definizione e nello sviluppo della disciplina, sostenendo inoltre la necessità di mantenere la biospeleologia una scienza biologica autonoma.
Negli anni '60 e '70, il termine "biospeleologia" ha così iniziato a perdere terreno in favore di quello di "speleobiologia". Questo cambiamento, seppur trascurabile, ha evidenziato una svolta in direzione di un'approccio più strettamente biologico della disciplina.
La biospeleologia è una scienza dinamica e in continua trasformazione, come testimonia il dibattito che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni, che si trova oggi di fronte a sfide e opportunità uniche. Mentre la ricerca continua a svelare nuove specie adattate alla vita sotterranea e ad esplorare gli intricati legami ecologici negli ambienti speleologici, la disciplina è chiamata a bilanciare l'approccio biologico con la necessità di collaborazione interdisciplinare.
Da Racovita ai ricercatori contemporanei, il fascino per la vita sotterranea continua a guidare le studiose e gli studiosi in questo affascinante campo scientifico.
La stazione biospeleologica del geotritone
La Stazione Biospeleologica di Besolagno (Savignone, GE) è un laboratorio sotterraneo appositamente attrezzato per lo studio del geotritone (Speleomantes strinatii).
Indirizzo SS226 Località San Bartolomeo, Savignone (GE)
Si tratta di un ex rifugio antiaereo (pianta originale a ferro di cavallo con due ingressi) scavato con cariche di mina nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Successivamente abbandonato dall’uomo, è stato colonizzato spontaneamente da una popolazione di Geotritone di Strinati (Speleomantes strinatii), specie tipica della Liguria centro occidentale, che vi si riproduce stabilmente da ormai oltre 40 anni.
Il rifugio è cavato nei calcari marnosi e nelle marne grigie caratteristiche della formazione di Ronco, una formazione geologica risalente al Cretaceo (circa 100 milioni di anni fa). L’ingresso (2* 1,5m) si trova a 392 m s.l.m. La cavità ha andamento orizzontale con curve e diramazioni per una lunghezza totale di circa 35 m; all’imbocco è ampia 1.5 m, per poi allargarsi fino ad un massimo di 3 m. Sono presenti due nicchie sul lato Sud con dimensioni 4.50 x 2.50 (A) e 5 x 3.20 (B) rispettivamente. L’iniziale andamento a ferro di cavallo con una seconda uscita non è più osservabile a causa del crollo del secondo braccio di galleria.
Potete fare un tour virtuale della stazione cliccando qui!
Anche se non si tratta di una cavità naturale, questo sito rappresenta il luogo ideale per lo studio dei Geotritoni, in quanto facilmente accessibile dal piano stradale. Per questo, a partire dal 1987, la cavità è stata attrezzata dal Gruppo come Stazione Biospeleologica, grazie anche alla concessione pluriennale dell’area da parte della Provincia di Genova. L’entrata è stata chiusa con un cancello di ferro e all’interno sono stati collocati strumenti per la misura della temperatura (pressochè costante con una media di 11°) e dell’umidità relativa (sempre superiore al 95%). L’entrata e alcune zone della parte più interna del sito sono state messe in sicurezza nel 2002, con l’intervento del servizio viabilità e strade della provincia di Genova. Per facilitare lo studio della distribuzione dei Geotritoni interno della cavità è stato suddiviso tramite cordicelle di nylon in settore di circa un metro quadro ciascuno; la quadrettatura arriva fino a 24 metri dall’imbocco, perché la presenza di esemplari oltre questa distanza risulta assai scarsa (salvo che per il tratto finale della galleria in contatto con il tratto franato, forse per la presenza di collegamenti con l’esterno).
Le condizioni ambientali all’interno della cavità, in particolare le condizioni termo-igrometriche, sono continuamente verificabili grazie alla presenza dell’apposito strumentazione, mentre in corso di ricerca viene attivata la video-registrazione computerizzata.
Dal 2006 all’interno della Stazione sono state realizzate ricerche inerenti la biologia riproduttiva, l’etologia (tra cui anche le importanti cure parentali che la femmina ha verso le uova deposte ed i neonati), l’ecologia e la parassitologia soprattutto del geotritone di Strinati, che hanno prodotto risultati pubblicati su riviste scientifiche nazionali e internazionali. Ad oggi è attiva una ricerca sulla demografia e l'ecologia spaziale di questi animali, con un focus particolare su come sono distribuii e su come sfruttano l'ambiente in grotta, a seconda delle condizioni presenti.
Il Laboratorio Carsologico Sotterraneo della Grotta di Bossea
Il Laboratorio Carsologico Sotterraneo della Grotta di Bossea è stato istituito nel 1969, da una piccola équipe del Gruppo Speleologico Alpi Marittime del CAI di Cuneo, con l'obiettivo di studiare, tutelare e valorizzare l'ambiente carsico: tutt'oggi il laboratorio si occupa di diverse ricerche, tra cui l'idrogeologia carsica, la meteorologia ipogea, lo studio della radioattività naturale nell'ambiente sotterraneo (in particolare sono stati fatti studi sul radon, un gas radioattivo naturalmente presente nella grotta) e la ricerca biologica.
Il termine "biospeleologia" è stato inizialmente adottato per descrivere lo studio della sola fauna delle grotte, tuttavia, nel corso del tempo, la disciplina ha ampliato il proprio campo d'azione per includere la biologia degli ambienti sotterranei in generale, abbracciando habitat come il milieu souterrain superficiel e la zona iporreica (in continuità con quanto affermato all'inizio della pagina!).
- Il milieu souterrain superficiel si riferisce a una fascia di territorio situata appena al di sotto della superficie terrestre, in cui il suolo e le rocce presentano condizioni di umidità e temperatura influenzate dalle condizioni atmosferiche esterne. Questa zona può ospitare una varietà di organismi adattati a vivere in ambienti sotterranei, ma che mantengono una connessione significativa con le condizioni esterne.
- La zona iporreica è una regione sotterranea situata nella zona di transizione tra le acque di superficie e l'acqua sotterranea, dove le due correnti interagiscono. La zona iporreica è importante per la biodiversità, poiché può sostenere una gamma di organismi adattati a vivere in un ambiente in cui le risorse provenienti da entrambi gli ambienti sono disponibili.
Altri studiosi hanno poi contribuito significativamente alla crescita della biospeleologia: i lavori di Ivo Lucic, Boris Sket e Aldemaro Romero hanno segnato importanti passi avanti nella definizione e nello sviluppo della disciplina, sostenendo inoltre la necessità di mantenere la biospeleologia una scienza biologica autonoma.
Negli anni '60 e '70, il termine "biospeleologia" ha così iniziato a perdere terreno in favore di quello di "speleobiologia". Questo cambiamento, seppur trascurabile, ha evidenziato una svolta in direzione di un'approccio più strettamente biologico della disciplina.
La biospeleologia è una scienza dinamica e in continua trasformazione, come testimonia il dibattito che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni, che si trova oggi di fronte a sfide e opportunità uniche. Mentre la ricerca continua a svelare nuove specie adattate alla vita sotterranea e ad esplorare gli intricati legami ecologici negli ambienti speleologici, la disciplina è chiamata a bilanciare l'approccio biologico con la necessità di collaborazione interdisciplinare.
Da Racovita ai ricercatori contemporanei, il fascino per la vita sotterranea continua a guidare le studiose e gli studiosi in questo affascinante campo scientifico.
La stazione biospeleologica del geotritone
La Stazione Biospeleologica di Besolagno (Savignone, GE) è un laboratorio sotterraneo appositamente attrezzato per lo studio del geotritone (Speleomantes strinatii).
Indirizzo SS226 Località San Bartolomeo, Savignone (GE)
Si tratta di un ex rifugio antiaereo (pianta originale a ferro di cavallo con due ingressi) scavato con cariche di mina nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Successivamente abbandonato dall’uomo, è stato colonizzato spontaneamente da una popolazione di Geotritone di Strinati (Speleomantes strinatii), specie tipica della Liguria centro occidentale, che vi si riproduce stabilmente da ormai oltre 40 anni.
Il rifugio è cavato nei calcari marnosi e nelle marne grigie caratteristiche della formazione di Ronco, una formazione geologica risalente al Cretaceo (circa 100 milioni di anni fa). L’ingresso (2* 1,5m) si trova a 392 m s.l.m. La cavità ha andamento orizzontale con curve e diramazioni per una lunghezza totale di circa 35 m; all’imbocco è ampia 1.5 m, per poi allargarsi fino ad un massimo di 3 m. Sono presenti due nicchie sul lato Sud con dimensioni 4.50 x 2.50 (A) e 5 x 3.20 (B) rispettivamente. L’iniziale andamento a ferro di cavallo con una seconda uscita non è più osservabile a causa del crollo del secondo braccio di galleria.
Potete fare un tour virtuale della stazione cliccando qui!
Anche se non si tratta di una cavità naturale, questo sito rappresenta il luogo ideale per lo studio dei Geotritoni, in quanto facilmente accessibile dal piano stradale. Per questo, a partire dal 1987, la cavità è stata attrezzata dal Gruppo come Stazione Biospeleologica, grazie anche alla concessione pluriennale dell’area da parte della Provincia di Genova. L’entrata è stata chiusa con un cancello di ferro e all’interno sono stati collocati strumenti per la misura della temperatura (pressochè costante con una media di 11°) e dell’umidità relativa (sempre superiore al 95%). L’entrata e alcune zone della parte più interna del sito sono state messe in sicurezza nel 2002, con l’intervento del servizio viabilità e strade della provincia di Genova. Per facilitare lo studio della distribuzione dei Geotritoni interno della cavità è stato suddiviso tramite cordicelle di nylon in settore di circa un metro quadro ciascuno; la quadrettatura arriva fino a 24 metri dall’imbocco, perché la presenza di esemplari oltre questa distanza risulta assai scarsa (salvo che per il tratto finale della galleria in contatto con il tratto franato, forse per la presenza di collegamenti con l’esterno).
Le condizioni ambientali all’interno della cavità, in particolare le condizioni termo-igrometriche, sono continuamente verificabili grazie alla presenza dell’apposito strumentazione, mentre in corso di ricerca viene attivata la video-registrazione computerizzata.
Dal 2006 all’interno della Stazione sono state realizzate ricerche inerenti la biologia riproduttiva, l’etologia (tra cui anche le importanti cure parentali che la femmina ha verso le uova deposte ed i neonati), l’ecologia e la parassitologia soprattutto del geotritone di Strinati, che hanno prodotto risultati pubblicati su riviste scientifiche nazionali e internazionali. Ad oggi è attiva una ricerca sulla demografia e l'ecologia spaziale di questi animali, con un focus particolare su come sono distribuii e su come sfruttano l'ambiente in grotta, a seconda delle condizioni presenti.
Il Laboratorio Carsologico Sotterraneo della Grotta di Bossea
Il Laboratorio Carsologico Sotterraneo della Grotta di Bossea è stato istituito nel 1969, da una piccola équipe del Gruppo Speleologico Alpi Marittime del CAI di Cuneo, con l'obiettivo di studiare, tutelare e valorizzare l'ambiente carsico: tutt'oggi il laboratorio si occupa di diverse ricerche, tra cui l'idrogeologia carsica, la meteorologia ipogea, lo studio della radioattività naturale nell'ambiente sotterraneo (in particolare sono stati fatti studi sul radon, un gas radioattivo naturalmente presente nella grotta) e la ricerca biologica.
Biologia Sotterranea Piemonte – Gruppo di Ricerca
L’associazione BSP-GR (Biologia Sotterranea Piemonte – Gruppo di Ricerca) nasce per iniziativa di un gruppo di ricercatori e appassionati della vita in ambiente ipogeo. Con l’esperienza di più di 25 anni di ricerca biologica nelle grotte, il gruppo studia la biologia delle cavità naturali e artificiali del Piemonte e della Valle d’Aosta, raccogliendo dati e realizzando documentazione fotografica, partecipando a convegni scientifici e mostre, organizzando corsi e iniziative di avviamento alla biologia sotterranea. Fra i risultati ottenuti: la descrizione di nuove specie, la sensibilizzazione alle tematiche ecologiche in ambiente sotterraneo, la partecipazione a studi sull’inquinamento da microplastiche, il rilievo e la descrizione di cavità, la produzione di articoli scientifici per riviste specializzate e di poster per convegni e raduni. Potete visitare la loro pagina Facebook cliccando qui! |
Bibliografia consigliata per approfondire la tematica biospeleologica:
Lana E. 2001. Biospeleologia del Piemonte. Atlante fotografico sistematico. Associazione Gruppi Speleologici Piemontesi, Regione Piemonte, Ed. “La Grafica Nuova”, Torino, 264 pp
Stoch F. 2008. Gli abitatori delle grotte. Biospeleologia del Friuli. Circolo Speleologico e Idrologico Friulano –Udine. Quaderno n.1
Giachino P. M. & Vailati D., 2016. Riflessioni sulla terminologia biospeleologica: i concetti di troglobio, troglofilo e troglosseno. Atti Convegno Nazionale Bossea (22 – 23 giugno 2013), “La ricerca carsologica in Italia”, pp 187-192
Lana, E., Giachino P. M. & Casale A. 2021. Fauna Hypogaea Pedemontana. Grotte e ambienti sotterranei del Piemonte e della Valle d’Aosta. WBA Monographs, 6, 1044 pp.
Biospeleologia del Piemonte: storia della biologia sotterranea (articolo di Enrico Lana, consultabile qui)
Lana E. 2001. Biospeleologia del Piemonte. Atlante fotografico sistematico. Associazione Gruppi Speleologici Piemontesi, Regione Piemonte, Ed. “La Grafica Nuova”, Torino, 264 pp
Stoch F. 2008. Gli abitatori delle grotte. Biospeleologia del Friuli. Circolo Speleologico e Idrologico Friulano –Udine. Quaderno n.1
Giachino P. M. & Vailati D., 2016. Riflessioni sulla terminologia biospeleologica: i concetti di troglobio, troglofilo e troglosseno. Atti Convegno Nazionale Bossea (22 – 23 giugno 2013), “La ricerca carsologica in Italia”, pp 187-192
Lana, E., Giachino P. M. & Casale A. 2021. Fauna Hypogaea Pedemontana. Grotte e ambienti sotterranei del Piemonte e della Valle d’Aosta. WBA Monographs, 6, 1044 pp.
Biospeleologia del Piemonte: storia della biologia sotterranea (articolo di Enrico Lana, consultabile qui)
Fonti principali:
Culver, D. C., & Pipan, T. (2023). Contrasting Approaches to the Study of Subterranean Life: Biospeleology and Speleobiology. Acta Carsologica, 52(2-3)
Trombin Denise, Caratterizzazione faunistica di alcune miniere Biellesi della Valle Cervo: Oneglie, Passobreve e Alpe Machetto [tesi di laurea magistrale]. Torino: Università degli Studi di Torino, 2021
Contributi originali:
LISTA ARTICOLI PUBBLICATI SU RIVISTE SCIENTIFICHE DAI MEMBRI DEL GRUPPO ISSEL
Tutti gli articoli sono visualizzabili e scaricabili al seguente link.
PRESENTAZIONI A CONGRESSI
Culver, D. C., & Pipan, T. (2023). Contrasting Approaches to the Study of Subterranean Life: Biospeleology and Speleobiology. Acta Carsologica, 52(2-3)
Trombin Denise, Caratterizzazione faunistica di alcune miniere Biellesi della Valle Cervo: Oneglie, Passobreve e Alpe Machetto [tesi di laurea magistrale]. Torino: Università degli Studi di Torino, 2021
Contributi originali:
LISTA ARTICOLI PUBBLICATI SU RIVISTE SCIENTIFICHE DAI MEMBRI DEL GRUPPO ISSEL
- Optimizing monitoring of an endemic terrestrial salamander (Speleomantes ambrosii): comparing cost-effectiveness of different methods for abundance estimation. Rendiconti Lincei (2022).
- Size-related boldness is not altered by stomach flushing in a terrestrial salamander. Amphibia-Reptilia (2021).
- Variability of A Subterranean Prey-Predator Community in Space and Time. Diversity (2020) 12, 17.
- Reliability of multinomial N-mixture models for estimating abundance of small terrestrial vertebrate. Biodiversity and Conservation (2020) 29:2951–2965.
- Safe caves and dangerous forests? Predation risk may contribute to salamander colonization of subterranean habitats. Sci Nat (2017) 104: 20.
- Lagged influence of North Atlantic Oscillation on population dynamics of a Mediterranean terrestrial salamander. Int J Biometeorol (2016) 60:475–480
- Maternal care and defence of young by the plethodontid salamander Speleomantes strinatii (Aellen, 1951). Scripta Herpetologica. Studies on Amphibians and Reptiles in honour of Benedetto Lanza: pp. 129-136, 2014.
- Resistance to Chytridiomycosis in European Plethodontid Salamanders of the Genus Speleomantes. PLoS ONE 8(5): e63639. doi:10.1371/journal.pone.0063639, 2013.
- Posthatching Parental Care in Salamanders Revealed by Infrared Video Surveillance. Journal of Herpetology, Vol. 44, N.4, pp. 649-653, 2010.
- Messa a punto di un sistema di videocontrollo a raggi infrarossi per lo studio in condizioni di seminaturalità dei comportamenti etologici e del ciclo riproduttivo in Speleomantes strinatii (Amphibia, Plethodontidae), 2007.
- A non-lethal method to sample gastrointestinal parasites from terrestrial salamanders. Amphibia-Reptilia 27 (2006): 278-280.
Tutti gli articoli sono visualizzabili e scaricabili al seguente link.
PRESENTAZIONI A CONGRESSI
- Home range and space use of Speleomantes strinatii in cave environment: a first insight. I Congresso sulla Biologia e la Conservazione degli Urodeli – Chiavari, 26-27 Ottobre 2023
- Stima dell’abbondanza dei geotritoni in grotta attraverso il metodo del doppio osservatore. XXIII Congresso Nazionale di Speleologia, Ormea 2 – 5 giugno 2022.
- Modelli di plastilina e sistemi preda-predatore: il caso degli anfibi. XII Congresso Nazionale Societas Herpetologica Italica. Arcavacata di Rende (CS), October 2018.
- The use of clay models to assess potential predation on cave salamanders.19th SEH European Conference of Herpetology. Salzburg, Austria, September 2017.
- Is predation risk in hypogean habitats lower than in epigean ones? An experiment with models of cave salamander. Biospeleology Congress. Cagliari, April 2017.
- Comportamento difensivo e aggressività nel geotritone di Strinati Speleomantes strinatii (Aellen, 1958). XI Congresso della Societas Herpetologica Italica. Trento, 22-25 settembre 2016.
- Nuovi dati sui cestodi parassiti dei Plethodontidi europei: contributo per una revisione zoogeografica e sistematica. XI Congresso della Societas Herpetologica Italica. Trento, 22-25 settembre 2016.
- Monitoraggio a lungo termine del geotritone Speleomantes strinatii nella stazione biospeleologica di San Bartolomeo di Savignone (Ge). Congresso nazionale di speleologia - Pertosa-auletta (Sa), 30/05-02/06/2015.
Pagina a cura di Francesca Cassina e Sebastiano Salvidio